L’ennesimo caso di autolesione per disperazione legata alla crisi si è verificato in Ancona. Bahri Taaieb un tunisino di 54 anni che vive e lavora in Italia da oltre dieci anni si è dato fuoco, lo scorso mercoledì 8 maggio, cospargendosi il torace di alcool davanti alla prefettura.
Siamo andati a trovarlo all’ospedale di Torrette, dove è ricoverato per le ustioni (non gravissime) che ha riportato dopo l’accaduto, ci ha spiegato con molta calma e lucidità il paradosso della sua situazione.
Bahri commercia pesce come venditore ambulante, sul suo camioncino, da ormai dieci anni regolarmente e così porta avanti economicamente la sua famiglia anche perché è l’unico a lavorare. Tutto bene, insomma, fin quando lo scorso 27 Aprile una volante della polizia stradale lo ferma e gli contesta la validità del libretto di circolazione del mezzo perché, dicono, non ha tutte le autorizzazioni per trasportare il pesce.
Da qui inizia il suo calvario: non ha più il libretto di circolazione, non può quindi lavorare e inizia tutta una trafila di sportelli tra Asl e motorizzazione per venire a capo del perché la Polizia gli ha sequestrato il libretto. Alla fine tutti gli confermano che è stata la Polizia a commettere uno sbaglio e,dunque, Bahri torna dalla Polizia che a sua volta lo rimanda alla Prefettura per fare ricorso per riavere finalmente l’autorizzazione a guidare il mezzo con cui lavorava. Ormai esasperato dopo quasi dieci giorni nella giungla degli uffici pubblici e, soprattutto, senza lavoro quando è arrivato in Prefettura ha deciso di porre fine a questa assurda trafila dandosi fuoco:
“Poi quando uno arriva all’esasperazione non c’è lucidità che tenga: senza il mio lavoro (già poco a causa della crisi) la mia famiglia non riesce più a vivere e allora ho dovuto fare questo gesto…Mi dispiace perché non è così che si dovrebbero ottenere le cose e non è bello soprattutto per i giovani…”.
In tutta questa situazione al di là delle questioni tecniche e legali emerge un dato di fondo non più trascurabile. Stiamo attraversando una fase di isolamento sociale, gli individui si sentono sempre più abbandonati a loro stessi, tutto questo in un periodo tristissimo anche, e soprattutto, dal punto di vista economico. Non c’è la consapevolezza che in realtà i problemi che si vivono quotidianamente sono collettivi e non individuali, come questa società, basata sul neoliberismo, vorrebbe farci credere. Non possiamo nasconderci che questa è una grande sconfitta questa per chi tenta di organizzare la rabbia per costruire qualcosa di radicalmente alternativo ma non possiamo neanche fare gli struzzi e mettere la testa sotto la sabbia.Bisogna ripartire dai drammi individuali, farli emergere e cercare di rintracciare rapporti, umani prima che politici, per ricostruire un tessuto sociale di “resistenza insieme”.
Nella storia le classi subalterne hanno vissuto fasi realmente tragiche dove la sopravvivenza individuale non era per nulla scontata ma sempre si è riusciti a condividere e organizzare la rabbia e la disperazione.Oggi l’eccessiva frammentazione dei lavori, il precariato diffuso,l’eccessivo utilizzo del lavoro così detto autonomo e la disoccupazione di massa sono tutti fattori che impediscono l’aggregazione di sentimenti ed istanze comuni. Partiamo da questo dato ed iniziamo ad immaginare come superare questa disgregazione,che porta solo al nichilismo individuale, perché altrimenti sarà davvero tutto inutile.
INTERVISTA A SOCCORRITORE DELLA CROCE GIALLA