La situazione del porto anconetano è ormai di dominio pubblico. Che sia diventato a tutti gli effetti una frontiera è un dato acquisito. Che la città ne sia ancora tanto affezionata e che si senta scippata di un suo organo vitale, dopo la sua perimetrazione e separazione, è una certezza. Che tanti uomini e donne sperano di giungervi per chiedere accoglienza e protezione e, al contrario, vengono rispediti al loro triste destino è la cruda verità. Così come al suo interno c’è chi lotta per il diritto al lavoro e al reddito, di fronte a politiche economiche che distruggono la vita di migliaia di persone.
Con tutte queste premesse crediamo fortemente che sia necessario continuare ad essere promotori di un radicale ripensamento in materia di gestione dello spazio portuale.
Ora che tante associazioni e tanti cittadini stanno mostrando la loro indignazione verso l’attuale governo del porto, dobbiamo moltiplicare gli interventi e le mobilitazioni, evidenziando questa situazione in modo da riportare al centro del dibattito non solo la dignità delle persone ma anche l’esercizio della democrazia intorno a ciò che ci appartiene. Si perché l’area portuale è della città e da essa è storicamente inseparabile. La cittadinanza non può e non vuole accettare che dei secoli di storia di accoglienza e di incontro tra culture rimanga ora solo qualcosa che ha più le fattezze di un carcere più che di un punto di approdo e partenza quale dovrebbe essere ed è sempre stato. Continua a leggere